Il male minore
Il nuovo sindaco di Pisa è leghista. Michele Conti batte il candidato del Partito Democratico Andrea Serfogli col 52% di voti. Quasi duemila preferenze sono lo scarto tra i due candidati sindaci.
E’ una vittoria storica quella del carroccio nella città di Pisa, ma in parte annunciata, vista soprattutto la tendenza emersa dalle urne a marzo per le politiche. Sconfitta devastante per il Pd che tracolla in moltissime città, tra cui Massa e Siena. Il “modello toscano” collassa su se stesso, mentre i leghisti annunciano il prossimo obiettivo, vincere, appunto, anche in Regione.
La vittoria leghista segue il passo del recente (esattamente due anni fa) insediamento a Cascina della Ceccardi che, insieme al neo-deputato Ziello, ha spinto con forza il nuovo sindaco Conti, nella pratica sostenendo la campagna elettorale al suo posto.
Quali sono le responsabilità della sconfitta del Pd?
Il candidato Serfogli attribuisce la sconfitta sua e del suo partito alla “troppa chiusura all’interno del palazzo”. Già, una distanza abissale tra chi ha governato soprattutto negli ultimi dieci anni dell’era (ormai tramontata) Filippeschi e i bisogni dei cittadini. Il sindaco uscente tra i più odiati, criticati e contestati in Italia rappresenta benissimo questa sconfitta.
Inascoltati, umiliati e non più rappresentati, i cittadini pisani hanno deciso di cambiare. E’ un voto, innanzi tutto, di vendetta. Troppo tardi adesso per correre ai ripari o per accorgersi di questo tracollo, al Pd non rimane che fare opposizione e già pensare ad una nuova programmazione per le prossime elezioni del 2023. “Ripartire dai quartieri”: Serfogli così la mattina dopo la sconfitta, commenta gli esiti del ballottaggio. Ma è proprio dai quartieri periferici e popolari che avviene la sconfitta.
La Lega ha saputo parlare, con un nuovo linguaggio, moderno e diretto, alla pancia di vecchi e nuovi elettori, proponendo una linea politica basata principalmente sul tema della sicurezza, declinata quasi esclusivamente in chiave anti-stranieri. Lo stile è semplice quanto efficace: si identifica un nemico (i clandestini, i rom, gli islamici), si definisce un “noi” e un “loro”, e su questa ostilità si costruisce consenso.
Ma nelle periferie i leghisti hanno dovuto parlare anche di altro: di disagio nelle case popolari, di bisogni primari, di vivibilità dei quartieri. E adesso che dall’opposizione sono passati al governo del territorio, dovranno fare i conti con l’aspettativa creata. Alla prova dei fatti non saranno più sufficienti la propaganda e i video sui social network.
Qual era il male minore?
Le due settimane prima del ballottaggio, come di rito, sono state monopolizzate dalla retorica del male minore. Una larga fetta di città, delusa dal Pd ma comunque legata ai tradizionali valori di sinistra, ha scelto di “tapparsi il naso” e votare Serfogli. Ma per una parte ancora maggiore dei pisani, questa volta il male minore era un altro. Perché Pisa non si è svegliata da un giorno all’altro convintamente razzista e leghista, anzi, anche alcuni di quelli che infine hanno votato Conti, probabilmente mal digeriscono la retorica salviniana. Ma l’esigenza principale era quella di sbarazzarsi di una classe politica dannosa. La vendetta contro il Pd, appunto.
La sconfitta del Pd per molti è una liberazione. E’ stato giusto mandarli a casa e non dare più credito alle politiche di esclusione sociale che ha messo in campo. Se poi aggiungiamo gli scandali di corruzione negli appalti pubblici, i soldi sperperati nella costruzione di grandi opere come il People Mover, il disinvestimento nel sociale e tutto ciò che ne consegue, le centinaia di sfratti e le migliaia di persone disoccupate, ecco il mix di rabbia e scontento generale che ha composto il rifiuto di presentarsi alle urne o la scelta di votare Conti.
Al Partito Democratico, a Pisa come a livello nazionale, va la responsabilità di aver fatto a pezzi quelli che sono storicamente i valori caratterizzanti della sinistra (la solidarietà, i diritti sociali, il lavoro…) e aver trasformato la parola stessa “sinistra” in una parodia, nel sinonimo della casta, di un’élite chiusa nei propri privilegi e interessi lobbystici, quanto di più distante dai bisogni della popolazione. E di aver, infine, consegnato la nostra città alla destra.
Destra che per governare dovrà comunque tessere legami con le lobby che comandano sul territorio, alcune delle quali già in fila per salire sul carro del vincitore. Un esempio: i leader di ConfCommercio, a livello locale da sempre legati al Pd, che invece qualche giorno prima del ballottaggio hanno organizzato la cena con Salvini sul Ponte di Mezzo per accreditarsi coi rappresentanti del governo nazionale e della futura governance locale.
Quindi che fare?
Una nuova banda di predoni è salita a Palazzo Gambacorti per arraffare quanto più possibile. Vogliono governare, non cambiare. Rispetteranno i vincoli di bilancio, imporranno la miseria e ci faranno scannare per questa, si nasconderanno dietro il principio del prima gli italiani per non mostrare le ruberie dicendo che della ricchezza collettiva poco resta. La guerra fra poveri serve unicamente gli interessi dei ricchi.
Il cambio della guardia al comune non soddisferà le aspettative della parte più ampia di questa città, affamata di cambiamento reale. Quando poi nelle periferie l’ennesima nuova promessa sarà disillusa, sarà il momento di presentare il conto.