Sulle lotte per la riappropriazione
Pubblichiamo di seguito un contributo del Progetto Prendocasa di Pisa. Nell’articolo che segue, partendo dalla nascita del Progetto, si analizza il
contesto nel quale si inseriscono le lotte per la riappropriazione portate avanti nella città toscana, con particolare atte
nzione per quanto riguarda l’ultima e la più grande battaglia del Progetto Prendocasa: l’occupazione dello stabile di via Marsala.
La nostra esperienza politica di Progetto Prendocasa nasce nell’autunno del 2007 come primo tentativo di coordinazione e sintesi tra le diverse lotte per il diritto all’abitare che a Pisa lungo il decennio 1997- 2006 si sono rese protagoniste. In quegli anni occupazione di case sfitte e occupazioni di stabili inutilizzati da parte di diverse realtà antagoniste hanno messo in luce la principale contraddizione sociale della città: la speculazione edilizia e la crescente sofferenza di differenti strati della composizione sociale proletaria alla morsa del caro-affitti.
Il Progetto Prendocasa vede la luce dalla necessità di avanzare in città un percorso che contrasti l’avanzare della rendita (intesa come processo di accumulazione grazie ad operazioni legate al mercato della proprietà privata immobiliare), le cui articolazioni economiche sono da un punto di vista istituzionale la forza motrice dell’elezione della giunta Filippeschi nell’aprile 2008 i cui cardini sono appunto la realizzazione di vari piani strategici di ridefinizione infrastrutturale e urbanistica sotto la cortina retorica del decoro urbano e della “sicurezza” (Piuss, trasferimento a Cisanello dell’Ospedale Santa Chiara e conseguente privatizzazione di quest’area; ordinanze securitarie contro migranti “abusivi” senegalesi, contro prostitute, contro la popolazione rom, contro la popolazione studentesca della “movida”). La nostra rete di riappropriazione del reddito si colloca dentro un quadro politico di forte espropriazione del diritto alla casa: l’indebitamento pubblico dell’amministrazione comunale e la gestione privatistica del patrimonio pubblico abitativo, la gerarchizzazione all’accesso al reddito messa in campo dagli enti di assistenza sociale, il perpetuarsi di una dinamica economico-urbanistica di vetrinizzazione del centro cittadino legato esclusivimante alla valorizzazione immobiliare ed allo sfruttamento affittuario della grande “riserva” studentesca. Ma soprattutto il progetto nasce dalla spinta politica del protagonismo di parti di una composizione sociale che nella città si sono viste negare ogni spazio di vivibilità sociale che non fosse l’alienante adesione al modello disciplinante di precarizazione dell’esistenza. Precari della scuola, del mondo dei servizi e delle cooperative, lavoratori migranti dell’edilizia, badanti, colf, lavapiatti, ma anche precari in perenne formazione tra un centro di formazione socio-assistenziale, piuttosto che un master o una doppia laurea, sono le soggettività che hanno dato vita alle prime esperienze di occupazione abitativa tra il dicembre 2007 e la primavera 2009. Questa decina di occupazioni ha sottratto alla speculazione abitazioni sfitte di proprietà INPS in via di “cartolarizzazione” (altro processo di rendita finanziaria legato alla privatizzazione del patrimonio degli enti previdenziali) e messo in moto progettualità antagonista al liberismo sfrenato cui è sottoposta la nostra città, iniziando ad articolare anche embrioni di forme di cooperazione che non si limitano al mutualismo della difesa del proprio tetto conquistato.
Mettere in luce le operazioni di speculazione che formano il paesaggio cittadino a tutti i livelli è un lavoro di denuncia politica e culturale che avviene di pari passo alla costruzione di campagne sulle questioni della vivibilità da un punto di vista del diritto alla casa, ma anche di servizi sociali, sanitari e culturali che rafforza le varie esperienze di occupazione nel legame interattivo con i contesti ed i quartieri in cui le occupazioni sono avvenute. È così che nasce lo sportello prendocasa, in cui ad un’assistenza legale di base sui diritti sociali si affiancano continuativamente ogni venerdì pomeriggio momenti di incontro, conocenza ed attivazione da parte dei militanti del Progetto con decine e decine di storie diverse di famiglie sotto sfratto, lavoratori messi in cassa integrazione, studenti ma già precari per aver perso l’alloggio da borsisti; storie che vengono accolte in una dimensione reale di lotta e ricomposte in decine di esperienze di autorganizzazione: difese di sfratti, occupazione di municipi di paesi della provincia, incontriscontri con assistenti sociali ed assessori-burocrati della triste amministrazione del denaro pubblico che fiocca sempre più spesso nelle tasche dei vari super-imprenditori edilizi ( i Bulgarella, i Forti, i Panchetti, i Fiorani,i Coppola, i Pampana, e via dicendo).
E proprio dalla difesa degli sfratti, dalla condizione di rifiutonecessità di continuare a versare quote maggioritarie del proprio reddito precario in affitti impossibili, dalla dignitosa indisponibilità a continuare a sottrarre tempo di vita (a cultura, istruzione, gioco, famiglia, sport, salute, cura di sé etc…) imposto a tempo di sfruttamento e precarietà, che nascono due importanti esperienze di lotta per la casa e di riappropriazione dei bisogni sociali nell’ultimo anno e mezzo.
La prima avviene il primo maggio del 2009, quando dopo un lungo lavoro di inchiesta che mette alla luce la speculazione di compra-vendita finanziaria tra enti pubblici (Comune ed Ente Regionale per il Diritto allo Studio) e l’immediato tentativo di privatizzazione dell’immobile, viene occupato e finalmente recuperato dopo alcuni anni di abbandono da 7 nuclei uno stabile in via dell’Occhio, una delle poche vie limitrofe al centro cittadino rimaste popolari e resistenti ai vari processi di gentrificazione. Famiglie migranti e di rifugiati politici con numerosi bambini al seguito, assieme a disoccupati e precari italiani giovani e meno giovani lanciano quello che è il progetto di autorecupero dello stabile, con tanto di utilizzo collettivo di un fondo come spazio destinato ad iniziative ludiche, pranzi popolari, e la sede definitiva dello sportello dei diritti. Nel frattempo si inizia un difficile ma importante lavoro di quartiere volto principalmente ad allontanare lo spaccio d’eroina ed a riqualificare le aree circostanti con differenti iniziative organizzate assieme a collettivi di studenti medi.
La forte spinta propulsiva di questa esperienza concorre ad estendere legami e relazioni con tantissime altre situazioni di emergenza abitativa, la maggior parte delle quali trova soluzioni in vertenze anti-sfratto per morosità sostenute picchettando le abitazioni e confrontandosi con forze di polizia, assistenti sociali e ufficiali giudiziari. La provvisorietà di alcune di queste situazioni crea l’esigenza per otto nuclei familiari di organizzare la riappropriazione del proprio diritto all’abitare con una nuova e più complessa occupazione: è così che emerge, grazie al lavoro di inchiesta territoriale, la grande rendita finanziaria privata sfitta.
Il 13 marzo 2010 viene occupata dai nuclei, sostenuti da più di cento solidali, una palazzina costruita da 9 anni e mai abitata, situata nell’immediata periferia pisana, nella frazione di Riglione, in Via Marsala, di proprietà Pampana, il più grande immobiliarista cittadino con oltre 300 appartamenti.
Emblema della speculazione edilizia di nuovo millennio, legata a varianti urbanistiche truccate dagli interesi immobiliari, e alla piaga del caro affitti come effetto della politica organizzata tra associazioni imprenditoriali del mattone ed agenzie immobiliari del “tengo sfitto e sale il guadagno dall’affitto”; ma Via Marsala occupata cambia di segno nell’immaginario collettivo della città e non solo: diventa simbolo della resistenza all’espropriazione, del reddito come nuova conquista sociale che passa dal riprendersi ciò che è negato, della capacità di una minoranza dignitosa e organizzata di interagire con altri strati della popolazione proletaria e di essere motore di ricomposizione di differenti lotte e bisogni.
Si apre nel quartiere una ludoteca aperta tre giorni a settimana, una palestra popolare, uno sportello dei diritti sociali che si apre alle cinture dei distretti manifatturieri delle periferie e della provincia pisana, si lega con parti significative del mondo giovanile anche nelle sue componenti organizzate come testimonia la partecipazione diretta ad eventi ludici e l’esposizione di 3 striscioni di solidarietà allo stadio che coprono la curva nord Maurizo Alberti.
Ma soprattutto si impone a livello pubblico un dibattito che passa necessariamente per il veicolo socio-cultrale dello scontro, del conflitto agito contro chi ha tanto (tantissimo) da chi invece ha sempre meno, coinvolgendo altre forze politiche, sociali, sindacali ed associazionistiche su posizioni inedite. Via Marsala per la tenacia che mette in campo si confronta con le istituzioni comunali, cui porta un’indicazione contro la crisi: giocare un ruolo attivo contro la speculazione, sostenendo le pratiche di trasformazione di nuovo welfare, che legga il rapporto pubblico-privato come un rapporto di forza da spostare a favore del reddito sociale, delle necessità collettive e quindi di scontrarsi con la rendita. Nel far questo entriamo dentro i meccanismi di ristrutturazione del governo dei territori e delle necessità istituzionali: rifiutando collettivamente una scomposizione tentata dai servizi sociali delle famiglie in meritevoli e non meritevoli di assistenza; forzando proposte politiche comunali come l’agenzia casa (pensata dagli amministratori come richiesta ai grandi proprietari stile Pampana di concessione affittuaria a prezzi poco più bassi di mercato del grande patrimonio immobiliare sfitto).
Proposte che gli occupanti sostengono per il caso specifico di Via Marsala con cortei, picchetti, invasioni di consigli comunali, conferenze stampe. Proposte che fanno male al capitale immobiliare ed ai suoi amministratori perchè ne svelano gli interessi di fondo, rendendo ridicole le retoriche propagandistiche.
Per questo amministratori e proprietari fanno un patto di ferro, che li costringe a preparare uno sgombero di un’esperienza che solo dopo 2 mesi e mezzo è riuscita ad attrarre ed aggregare molto: il 18 maggio alle otto di mattino decine di mezzi blindati bloccano la tosco romagnola e più di centocinquanta celerini si schierano di fronte a via Marsala per sgomberarla. Ma le famiglie si barricano in casa, preparano la resistenza, salgono sui tetti, battono pentole e mestoli e decine e decine di compagni nel giro di due ore formano cordoni che bloccano il tentativo di sgombero, in una scena surreale in cui la città rimane bloccata dal traffico per un’intera mattinata aspettando la ritirate delle truppe di Pampana che non arriva. Infatti, lo sgombero non è effettuato ma parte delle forze di polizia continuano a presidiare (e la faranno per altri 6 giorni) lo stabile. Nessun amministratore, assessore, Sindaco si fa vivo, nessuno è rintracciabile…evidentemente è stata tanta la sorpresa di non vedere i fatti svolgersi nel modo in cui li avevano registrati! Quella sorpresa dopo poche ore diventa per gli assessori della giunta comunale disagio, imbarazzo, impressione di essere davvero toccati dalle loro scelte scellerate: tutto ciò quando una trentina tra famiglie occupanti e compagni solidali si staccano dal presidio permanente a difesa di via Marsala per raggiungere nella torretta del potere amministrativo i governanti che non vogliono farsi trovare protetti dalle truppe di partito della polizia municipale.
Dal giorno della resistenza segue una serie di beceri attacchi diffamatori e criminalizzanti le famiglie del progetto prendocasa, rei di aver continuato giorno dopo giorno a manifestare la volontà collettiva di rimanere in via Marsala, di non accettare passivamente una rappresentazione mediale della realtà dipinta come covo di disagiati mentali e pericolosi sovversivi che strumentalizzano i bisogni delle famiglie. La retorica ufficiale ha tentato di demonizzare una realtà sociale e politica sempre più in espansione, facendo leva talvolta sulla “legalità e sul rispetto delle regole”, talvolta sulla manipolazione diabolica da parte di giovani dei centri sociali che plagiano le menti di povere famiglie. Ciò che sta sotto tale ipocrisia è la necessità dei poteri di negare quella che è invece profonda ricomposizione delle diverse figure del precariato sociale, di cancellare semanticamente la parola solidarietà quand’essa è concreta e reale; e soprattutto di rassicurare i poteri forti su quale è la parte da cui stanno i politici: quella contro il riscatto e la dignità di chi non vuole più subire in silenzio le leggi dello sfruttamento e della morsa della rendita! In risposta si organizzano contestazioni al sindaco (tacciate dai giornali, nonostante i video, come aggressioni), volantinaggi, alcune famiglie entrano in sciopero della fame, si amplia il fronte della solidarietà alle famiglie.
Ma dopo una settimana dal primo tentativo di sgombero, questa volta alle prime luci dell’alba, avviene lo sfratto da via Marsala. Immediatamente si forma un picchetto di solidarietà che porta la protesta nel centro cittadino, con l’occupazione di una piazza del salotto buono della città in cui i nuclei di via Marsala montano tende e che nel giro di poco queste si vedranno aumentare fino a riempire tutto lo spazio di Largo Ciro Menotti. Con lo sciopero della fame che prosegue, l’occupazione delle tende di borgo stretto che dura quindici giorni in cui si raccolgono quasi tremila firme di solidarietà, si arriva al giorno in cui il sindaco prepara un nuovo sgombero, stavolta delle tende della solidarietà. Davanti ad un’ulteriore resistenza, mobilitazione e sostanziale unità delle famiglie con la città-viva questa volta lo sgombero obbliga le istituzioni a fare ciò che per mesi hanno negato: instaurare una trattativa con gli occupanti che li porti ad avere una casa. Trattativa che si svolge sotto il segno della tensione per una città in cui il PD, per non cedere agli interessi degli speculatori, è costretto a svelare il suo animo securitario, invitando il ministro leghista Maroni nella nostra città a cui chiedere di firmare un “patto per pisa sicura”, come protezione dalle contraddizioni sociali che stanno, da via Marsala in poi, esplodendo. Un sindaco e una giunta che mostrano il loro lato di destra, incapaci di cogliere le trasformazioni ed i movimenti sociali se non come pericoli che intaccano le loro articolazioni di casta e di potere.
Dopo 2 mesi di trattative gli ex occupanti di via Marsala entrano in case con affitto minimo e proporzionato ai loro redditi, case i cui contratti sono intestati al Comune. A dimostrazione ancora una volta che solo la lotta paga!
Adesso, dopo aver scoperchiato il tappo delle contraddizioni sociali e dell’emergenza abitativa in città, dopo essere riusciti ancora una volta a conquistare il diritto alla casa per altri nuclei, come Progetto Prendocasa stiamo strutturando percorsi di indagine sociale volti al potenziamento ed all’organizzazione di nuove lotte sul terreno del reddito ed in particolare su quello di una campagna contro gli sfratti e per l’autoriduzione degli affitti, per l’autorecupero delle strutture inutilizzate, che sappia intervenire politicamente sulle scelte dei governi e delle amministrazioni nella riappropriazione della spesa sociale contro l’utilizzo privatistico, speculativo e militare, come ci parla anche la recente dichiarazione di Filippeschi sulla creazione di una struttura ricettiva di mezzi per le forze speciali guerrafondaie che convergeranno nell’areoporto di Pisa.
Progetto Prendocasa Pisa