Quartieri ad alta tensione
Il significato della vivace assemblea pubblica che si è svolta ieri sera alla circoscrizione del CEP, quartiere popolare di Pisa, può essere ben rappresentato dalle sedie che sono volate in direzione degli esponenti del Comune e dell’Apes, o dalle ormai ben note urla isteriche dell’assessore alla casa Ylenia Zambito che si sono levate a più riprese.
La causa scatenante è la decisione di costruire nuove case proprio sopra i campini di calcio che rappresentano uno degli ultimi spazi di aggregazione realmente vissuti nel quartiere; decisione che rappresenta però solo la punta dell’iceberg di quella che è la considerazione che il Palazzo ha delle periferie pisane, buone come serbatoi di voti, come paravento per i sempre maggiori bisogni sociali insoddisfatti, come teatro per nuove speculazioni di ogni tipo. La vera arroganza sta però nel continuare a pensare di poter gestire e “domare” un intero quartiere mandato alla deriva organizzando, dietro la maschera della partecipazione territoriale, sporadiche riunioni in forma di lezioni al popolino.
Il quartiere del CEP sotto questi aspetti è decisamente emblematico; il Centro di Edilizia Popolare, inaugurato negli anni ’60, nel tempo ha radicalmente cambiato il suo volto sotto le ripetute ondate di cemento che lo hanno investito. Di spazi verdi ne sopravvivono ancora diversi, ma solo una piccola parte valorizzati e sfruttati a dovere, altri luoghi di socialità o progetti per i giovani non sono adeguatamente finanziati o restano ancora una promessa nel vento (come la ludoteca per i bambini che dopo la chiusura nel 2003 ha riottenuto un finanziamento da oltre tre anni ma non ancora l’assegnazione di uno spazio fisico). Ben visibile da tutti, infine, si staglia lo scempio della “polveriera”, una struttura militare dismessa, inutilizzata e abbandonata al degrado da anni, a ridosso di uno dei giardini più belli.
Poco male poiché il CEP vive la sua quotidianità in disparte, ben lontano dagli sguardi di visitatori e turisti.
Ogni tanto però le istituzioni si ricordano delle periferie. Se ne ricorda Bani, il presidente dell’Apes (l’azienda che si occupa degli alloggi ERP), immerso nella sua crociata per la regolarizzazione degli alloggi, incentrata sugli sgomberi delle famiglie che negli anni hanno sopperito con l’occupazione alla vergogna delle case popolari vuote, o degli sfratti verso gli assegnatari in ritardo con i pagamenti delle quote, eseguiti con l’ausilio di multe esorbitanti. La motivazione accampata è la necessità di assegnare queste case ad altre persone in graduatoria, nel vortice di una vera e propria guerra tra poveri, ma la fragilità che ci sta dietro è ben evidenziata dall’alto numero di alloggi sfitti e non assegnati che già sono presenti in zona (e che di conseguenza continuano a venire occupati).
Se ne ricordano i vari assessori nelle saltuarie visite per dispensare promesse di ogni tipo sul miglioramento della vivibilità e se ne ricorda pure l’assessore Zambito (che, ironia della sorte, proprio dal CEP proviene) quando deve scovare nuovi angoli di città da destinare al cemento.
Insomma al CEP si viene solo a batter cassa, a imporre “sacrifici per il bene di tutti”, a reclamare gli sgoccioli di spazi verdi da regalare alla costruzione e alla speculazione. Una bomba che era destinata a scoppiare, e ad accorciare radicalmente la miccia ci ha pensato la nuova manovra edilizia portata avanti dal Comune che ha come obiettivo proprio i campini dove si svolgono buona parte dei momenti di aggregazione del quartiere, tra cui un torneo molto sentito e partecipato, organizzato dai ragazzi stessi. Per acquietare gli animi del comitato in difesa dei campini, nato nei mesi scorsi, erano stati promessi nuovi spazi da rendere usufruibili prima dell’inizio del cantiere, ma i tempi degli appalti stringono e la riunione indetta ieri sera dal Comune nella sede della circoscrizione serviva a comunicare l’imminenza dei lavori.
La dura contestazione che si è svolta nei confronti degli assessori e della dirigenza dell’Apes ha visto protagoniste generazioni differenti, tutte armate della stessa rabbia e della stessa determinazione nel voler difendere un pezzo della loro terra (il “cuore del quartiere” è stato definito da uno dei ragazzi durante la riunione) che assume un valore simbolico oltre che reale, di vera e propria autodeterminazione di fronte ad interessi (speculativi) altrui che vengono loro imposti; non a caso il momento di maggior tensione è avvenuto quando per più volte i rappresentanti delle istituzioni hanno cercato di zittire gli abitanti che dissentivano, per poter continuare indisturbati il loro comizio. E’ il primo passo di una presa di coscienza e di riscatto di un quartiere stanco di essere usato, il primo momento di conflitto, di sfogo di un malessere diffuso che finora è rimasto sotterraneo ma che si sta rendendo sempre più manifesto. Una seria risposta ai rapaci che pensano ancora di poter planare indisturbati su un territorio di caccia stanco di essere considerato tale. Un rigurgito verso la lezioncina condotta con diapositive ipocrite, senza il minimo rispetto, con la pretesa di convincere persone che invece hanno ben chiari i loro bisogni insoddisfatti.
Ma in queste situazioni il quartiere sa imporre il rispetto che gli è dovuto.