Pisa. Pioggia di denunce per gli studenti medi
A essere denunciata è un’intera stagione di mobilitazione. Le manifestazioni del 5 ottobre, del24 novembre, del 6 dicembre e addirittura quella recentissima del15 febbraio. Cortei in cui centinaia di studenti hanno invaso le piazze con determinazione e protagonismo, hanno bloccato i binari della stazione, hanno restituito alla città spazi abbandonati al degrado come l’ex cinema Ariston, hanno cercato, in alcuni casi riuscendoci, di entrare nei palazzi della crisi.
Ciò che muove un ceto politico arroccato nella propria autoreferenzialità ed estraneità a qualsiasi contesto sociale ad agire nel senso dell’intimidazione tramite denunce è proprio l’incapacità di governare una conflittualità sociale che inizia, nelle mobilitazioni studentesche, a darsi forma organizzata. Preservare immutati i livelli di potere è la prima preoccupazione del partito di governo cittadino, intimorito dalle dinamiche sociali di opposizione all’impoverimento, le quali iniziano a sfiduciare proprio chi, invece, di questo impoverimento è responsabile. Ecco allora che, per il tramite della questura, si tenta di bloccare soprattutto chi, quotidianamente, lavora per aggregare attorno a un orizzonte di riscatto. Decine di denunce colpiscono ripetutamente gli stessi giovani militanti che nei collettivi delle scuole mettono in contatto i loro compagni e mobilitano i loro istituti. Il tentativo è quello di isolare i soggetti della ricomposizione alienandoli dai loro contesti sociali i quali, però, sempre di più si stringono attorno alle istanze di rifiuto dei sacrifici e della crisi.
In autunno il Partito Democratico ferito nella sua immagine per una bandiera bruciata, puntando i piedi, scatenò una feroce campagna mediatica e si arrogò il diritto di espellere i tanti studenti scesi in piazza dall’arena del confronto politico. Il volto autoritario di Nocchi – segretario provinciale PD – si esplicitò in quella ristretta nozione di democrazia per cui è legittimato a organizzarsi politicamente solo chi riconosce e soggiace agli assetti di potere esistenti. Il rifiuto di questi non è contemplato.
Così, con una tempistica mirabile, quando il corteo del #15F ha sfilato per le strade di Pisa sanzionando con uova di vernice colorata, non solo la sede del Partito Democratico, ma anche i comitati elettorali del PDL e di SEL e della filiale del Monte dei Paschi di Siena, le minacce di Nocchi e dell’obbediente prefetto Tagliente, si sono subito tradotte in denunce. Infatti la questura assolve a un preciso mandato politico, a pochi giorni dalle elezioni politiche e alla vigilia della campagna elettorale per il rinnovo dell’amminstrazione comunale. Non è un caso che, alle denunce per violenza e resistenza a pubblico ufficiale e per il reato di occupazione, si accompagnino anche le sanzioni amministrative comminate a chi, nel corteo del #15F, ha strappato i manifesti del teatrino elettorale.
Eppure alcuni aspetti fanno intravedere i limitati margini di manovra a disposizione di chi tenta di dividere le lotte degli studenti medi, separando, per via giudiziaria, le prospettive dei giovani scesi in piazza da un consenso sociale diffuso. Se da un lato infatti, la tenuta della strategia del prefetto Tagliente, che prometteva pacificazione a colpi di inchiostro, solo tramite denunce, ha mostrato tutta la sua debolezza ed è dovuta ricorrere anche alle manganellate per contenere il protagonismo degli studenti, dall’altro lato risulta ormai difficilmente ignorabile la distanza che socialmente separa il ceto politico al potere da quanti si riconoscono dietro quello striscione alla testa del corteo del #15F: “cacciamoli tutti”!