Pisa 13/14nov2015. La posta in palio: il basso contro l’alto
A un mese di distanza dall’importante due giorni di lotta del 13 e 14 novembre a Pisa pubblichiamo un testo di approfondimento a firma Spazio Antagonista Newroz. Lo scandalo sulla corruzione, l’emergenza casa, l‘occupazione del comune, lo sgombero, la resistenza, l’attacco del sindaco ai movimenti sociali, la risposta delle lotte alla morsa ‘democratica’ PD/Lega, la militarizzazione della città e le cariche sul Lungarno… sono tutti frammenti di un quadro complesso dove l’iniziativa autonoma delle lotte ha saputo squassare la gestione sistemica del governo della città e delle sue crisi, mettendo al centro le ragioni di un conflitto di classe, le sue pretese, le sue possibilità. Si tratta di un indicazione importante, soggettivamente preziosa per quanti ne sono stati protagonisti nelle strade e di cui il testo che riportiamo, di imminente pubblicazione anche in opuscolo cartaceo con corredo fotografico, inizia a rintracciare alcuni caratteri.
TREDICI E QUATTORDICI NOVEMBRE DUEMILAQUINDICI
La posta in palio: il basso contro l’alto
Il fine settimana di metà novembre mette insieme tre elementi meritevoli di essere approfonditi: il parziale di-svelamento pubblico di un sistema di potere, l’indisponibilità di coloro che fino ad oggi ne hanno pagato i costi di continuare a farlo, il tentativo (fallito) DemoKratico di garantire alla Lega nord un’agibilità politica in funzione di una pacificazione sociale.
[Venerdì tredici novembre]
Sant’Ermete, uno dei quartieri ad alta densità di movimento negli ultimi due anni, promuove un blocco stradale dalle prime ore del pomeriggio. Obiettivo: non pagare più l’affitto per le vecchie case popolari che da anni devono essere abbattute e ricostruite e per le quali il Comune di Pisa ha da tempo promesso lo svolgimento dei lavori annunciando il reperimento di 18milioni di euro. Centocinquanta persone, compresi i bambini della scuola elementare e molti anziani residenti da decadi in questi alloggi fatiscenti, scendono in strada, fanno una battitura lungo il cantiere fermo da mesi sulla via Emilia e iniziano un corteo che attraversa tutta la zona est della città fino al palazzo comunale, occupandone l’atrio.
Le mani sulla città
La rabbia esplode alla notizia diffusasi dal giorno precedente di due questioni tra loro speculari: il Comune di Pisa tramite il proprio assessore al bilancio Serfogli ha risposto alle domande in consiglio comunale della lista civica “città in comune” affermando che il costruttore Bulgarella (in odor di riciclaggio di soldi sporchi) è debitore nei confronti del Comune di Pisa di più di 5 milioni di euro, e che ad oggi nessun piano di rientro è stato fatto. Anzi, le Istituzioni locali continuano negli anni a servire a questo colosso del mattone e del cemento appalti e varianti urbanistiche nonostante Bulgarella presenti sistematicamente “fideiussioni tossiche”, ovvero garanzie di instabilità economica. L’altro fatto è il mancato riconoscimento per decine di famiglie (che rischiano di perdere od hanno già lasciato il proprio alloggio sfrattati da polizia e ufficiali giudiziari, poiché hanno avuto una riduzione dell’orario di lavoro, hanno chiuso attività etc..) del criterio della “morosità incolpevole” per l’attribuzione dei punti dello sfratto per la graduatoria di casa popolare.
Ma torniamo a Venerdì: perchè scoppia questa rabbia? Prende corpo un imponente senso di ingiustizia, radicato socialmente nella discriminazione che i poveri subiscono nei confronti dei ricchi. La politica, le istituzioni, sono la macchina con cui regge questo tanto antico quanto invariante fatto. Si dirà: “è sempre stato così, da che mondo e mondo…” eppure le immagini di un’orda barbara che a spinta conquista il palazzo del Comune, e che caccia le divise dall’atrio a suon di boati popolari ci dice qualcosa di più. E’ saltato un patto, che teneva assieme le possibilità di riprodurre la città ad immagine e somiglianza degli interessi di chi la governa (poiché c’investe capitali), con coloro che la vivono e la producono nelle sue infrastrutture più invisibili ma essenziali: abitanti, cittadini, produttori di servizio.
La nuova composizione di classe
Questo strappo si consuma non tanto sullo scandalo della corruzione, ma sul fatto che con questa prassi viene escluso dal Sistema chi fino ad oggi ne faceva parte al prezzo di enormi sacrifici. E’ l’insopportabilità di vedere che tutta la torta è spartita tra i soliti noti. Le briciole, o l’aspettativa di vederne cadere qualcuna dal piatto grasso, non bastano più: e non è una questione di metafore letterarie, bensì di dati sociali imponenti. La questione povertà; l’emergenza abitativa; l’assenza di futuro che si fa miseria del presente per migliaia di giovani (non fa differenza se studenti delle scuole, dell’università o neet); l’indebitamento che diventa estorsione sulle vite di migliaia di lavoratori autonomi. Che questi numeri si facciano presenze sociali, è il timore di chi ci amministra. Che questa materia umana da studio, da analisi, da controllo si faccia carne, sangue, cervello vivo è il proposito che si fa storia dell’iniziativa antagonista di venerdì 13 novembre.
Quando parliamo di Sistema Bulgarella non ci riferiamo solo al modus operandi di un capitalismo finanziario predatorio di risorse e territori, padrone della politica istituzionale e sostanzialmente espressione dell’intreccio tra banche e malaffare. Ci riferiamo più coscientemente al tipo di composizione che si ritrova coinvolto nei conflitti dentro quel sistema. In particolare è sempre più emergente nelle lotte, o collateralmente ad esse, la figura di chi si trova senza casa o sotto sfratto, e che quindi ha un problema abitativo legato al mercato ed alla produzione edilizia, e che nel contempo è parte di quel sistema in quanto produttore. Nel sistema Bulgarella l’acquisizione di grossi appalti di costruzione edilizia passava infatti anche dalla capacità di strozzare tutta l’organizzazione del lavoro dipendente sottomessa. In particolare è la piccola impresa a conduzione familiare o con pochi soci che prende pezzi specifici del processo produttivo delle costruzioni, e che a causa del modus operandi (fideiussioni tossiche) del grande committente si trova strozzata dai debiti o a non riscuotere egli stesso. Ed oggi, sotto sfratto, si ritrova ad occupare gli uffici comunali, a gridare “vogliamo le case di Bulgarella”. E’ una sorta di vendetta dell’ex partita iva edile a cui non hanno dato prestiti e che fallisce perchè non riscuote, e che adesso si mette a lavorare sottopagato, per l’interinale od al nero, per la stessa grande ditta. Una nuova sottomissione che produce non solo miseria ma anche tradimento. Se una nuova classe di imprenditori rapaci è prosperata sino ad oggi grazie a questa struttura di potere, una massa di espropriati sta per bussare alle porte di chi detiene la ricchezza accumulata in questi anni.
Il 13 Novembre rappresenta uno scarto in avanti poiché la rivendicazione di un bisogno si è incrociata con l’attacco diretto ai responsabili della propria crisi. E’ stata demistificata e smontata la naturalità della condizione di emergenza abitativa, conoscendo e praticando il meccanismo di governo e di chi ci “lucra”: i senza casa oggi sanno non solo che ci sono case vuote, ma anche il perchè per i politici ed i loro committenti l’importante sia aprire i cantieri, non creare dei beni con un loro valore d’uso. Di fronte a tutto questo i dispositivi di mediazione al ribasso, per esempio dei servizi sociali, non reggono: la scusa della “mancanza di alloggi” è inefficace a partire dalle lotte che hanno mostrato la questione di esclusiva volontà politica di vendere il patrimonio pubblico o di lasciarlo abbandonato, e di incentivare nuove costruzioni senza alcun vincolo per il mattone ed il cemento privato. La massa degli sfrattati sa che è l’ora di prendersi delle case, e la tenuta istituzionale dei modelli di governo dipenderà tutta dalla capacità di saper riarticolare un equilibrio tra i poteri che vivono dalla rendita e l’esplosione di un conflitto sociale forte e duraturo in grado di determinare nuove conquiste per chi oggi non ha niente.
Smart city e conflitti urbani
“Noi da qui non ce ne andiamo”. Dopo 8 ore di resistenza, tre cariche delle forze dell’ordine, militarizzazione della piazza sotto il comune, diversi contusi, la giornata si esaurisce con un corteo che arriva alla prefettura e ribalta la paura di scendere in piazza in promessa collettiva di conflitto: il giorno dopo – tutti in piazza Garibaldi per contrastare i Giovani Padani, ed alle 16 sotto il Comune per sfiduciare Filippeschi!
Il sindaco Filippeschi non accetta alcun confronto con chi protesta. Affermerà i giorni seguenti “un conto è comprendere una protesta isolata, un altro è quando le manifestazioni fuori dalle regole diventano metodo”. Inutile insistere sul fatto che queste regole valgano soltanto per chi non le debba trasgredire traendone milioni di euro di profitto, la questione va affrontata da un’altra angolatura: il governo locale non può sopportare la moltiplicazione delle istanze di lotta, pena la sua crisi. Si tratta allora di mettere in campo questa proliferazione. Ma come? Lo spazio politico istituzionale è omologato ad un’immagine di abitudine all’impunità ed all’estraneità al corpo sociale. La considerazione di ciò che avviene nel mondo di sotto è trattata per lo più come minaccia da cui difendersi, per i nostri politici. A preoccupare il PD non sono in sé gli scandali, i ROS negli uffici dei dirigenti comunali, la Guardia di Finanza a sequestrare i documenti sulle concessioni edilizie, ma la possibilità che l’eco di questi trovi risposta in variegate forme di rifiuto della popolazione a continuare ad accettare la propria “discriminazione”. Ad esempio se gli abitanti rivendicassero la morosità volendo una sanatoria dei debiti della Sepi e di Equitalia per quelle tasse sui servizi che gravano sulla vita di migliaia di pisani quando ai soliti noti è permesso di non pagare milioni di euro per compravendite fasulle o per evasioni fiscali da palazzinari. In questa transizione alla smart city molte contraddizioni emergono: il bilancio, dal prefetto alle circoscrizioni, è direzionato per lo più a pagare i debiti di queste nuove grandi opere ed a coprire “la sicurezza” dei flussi del commercio (investendo in telecamere, inferriate, grate, sistemi di allarme, rifacimento del centro cittadino) generando precarietà e marginalità. Questa enorme privatizzazione della spesa pubblica è l’oggetto su cui prospera la corruzione come sistema: vantaggio per pochi, impoverimento per molti. Se di crisi di governo vogliamo parlare, è solo quando la distanza e l’estraneità del corpo istituzionale diventerà incapacità a riprodurre quel sistema di produzione e saccheggio delle nostre risorse.
[Sabato quattordici novembre]
Alle 13 si presentano centinaia e centinaia di giovani sul Ponte di Mezzo. Per lo più studenti, molti rivendicano l’orgoglio terrone contro l’identità dei giovani padani: per rammentare quel razzismo leghista dalle tutt’ora vegete discriminazioni contro gli “scansafatiche meridionali”.
Non solo i centri sociali
A contestarli ci sono gli stessi che hanno animato il precedente mese di lotta contro il nuovo Isee, giusto a conferma che il conflitto contro l’esclusione e la mancanza dei servizi rappresenta il miglior fattore di soggettivazione contro il mercato politico – e mediatico – della guerra tra poveri. Ti tolgono la borsa di studio? Ti sfrattano dall’alloggio? Non rientri nei parametri per l’esenzione di tuo figlio dal ticket per la mensa? Quando a queste istanze si inizia a rispondere collettivamente rifiutando la logica della scarsità e mettendo in discussione l’appropriazione privata delle risorse di tutti, ecco che si sviluppa l’anticorpo al dispositivo leghista. Non è un caso che in quella stessa piazza fosse presente anche quella gente che dalle zone popolari della città ha iniziato da tempo a lottare per la dignità, contro le forme dell’esclusione e del sacrificio messe in atto dal governo democratico, da Renzi a Filippeschi. E che proprio le variegate esperienze territoriali dei movimenti dell’abitare, dal comitato di Sant’Ermete alle famiglie sotto sfratto fino ai giovani del CEP, siano stati i protagonisti di quel rigurgito antileghista che nei mesi passati ha impedito per ben 4 volte di far mettere piede al leader leghista nella città di Pisa.
Quando la militanza antagonista funziona da collettore e da strumento di servizio per l’avanzata di conflitti reali sul terreno sociale, aggredendo i nodi politici del governo PD, la questione dell’antirazzismo si fa meno autoreferenziale. A lottare assieme sono giovani ed adulti pisani, studenti terroni, donne e uomini che provengono da Albania, Romania, Marocco e Bangladesh. Un miscuglio che poco ha a che fare con quel multiculturalismo di cui le istituzioni si fanno promotrici, per rendere più “europea” la gestione delle tensioni sociali, l’addomesticamento della questione immigrazione, il ricorso alla cooptazione post-coloniale assieme ai più violenti meccanismi di segregazione, nei confronti di bianchi e neri, ma pur sempre diversi in quanto privi di quell’unico requisito per poter accedere al benessere: i capitali. Piuttosto la piazza Garibaldi è ben rappresentata da quella “ruspa” artigianale che sintetizza la caratteristica comune di una certa parte di città: spazziamo via i responsabili della crisi!
Chi non è contento di sabato?
Sabato 14 novembre il centro della città era tenuto sotto scacco preventivo da un numero elevato di forze dell’ordine che, con l’arrivo di 200 poliziotti da fuori, hanno costruito un fortino per sterilizzare l’ambiente circostante alla piazza in cui erano annunciato l’arrivo di decine di pullman dalla Padania (!!!sic). Dal Ponte Solferino fino al Ponte della Fortezza, fino alla chiusura di Ponte di Mezzo, la militarizzazione imponente voleva funzionare da dispositivo di accettazione del divieto a mettere in discussione la presenza leghista. Il Prefetto, il Sindaco, i vertici della questura non potevano permettere per l’ennesima volta di farsi tirare le orecchie dai deputati leghisti al seguito sulla “mancanza di democrazia”, laddove non è accettabile che Pisa sia l’unica città in cui Matteo Salvini non può fare un comizio. Ed in effetti Matteo sceglie di fuggire un’altra volta, annunciando di seguire la partita di calcio di suo figlio, e nel mezzo dello sfaldamento dell’operazione politica che era stata programmata e presentata a Bologna la settimana precedente (il centro destra unito sotto Salvini) la solitudine dei giovani padani pisani aveva ancor più bisogno di caratterizzarsi come bisognosa di protezione dei caschi blu. Quaranta giovani padani venuti con tre pullman semivuoti da fuori, hanno fatto chiudere una città dalla mattina alla sera. A far montare ancor di più la determinazione nel trasgredire quella zona rossa, è stata poi la caratura dei personaggi che dovevano parlare e le cose che avevano da dire. Gli stessi che di notte provano a togliere gli striscioni ai comitati contro gli sfratti, venendo sorpresi con le “mani nel sacco”; gli stessi che militarizzano gli ingressi alle scuole superiori portando poliziotti a difesa di volantini contro “le zecche rosse”; gli stessi che si intrufolano nei quartieri popolari portando terrore e camionette: sempre con lo stesso risultato di essere cacciati e lo stesso piagnisteo che chiede alle Istituzioni “tutela” e repressione per i contestatori. Sul ponte della Fortezza le forze dell’ordine hanno espresso tutta la difficoltà a gestire “contraddizioni” difficilmente sanabili, dovendo ricorrere alla furia nervosa della celere. Tre cariche violente hanno attaccato il corteo che ha scelto di non interiorizzare la proibizione a varcare i lungarni, ma la resistenza diventa più forte, compatta e sicura di sé. Il PD e le “sue” istituzioni avrebbero voluto una piazza innocua: hanno invece trovato cinquecento persone pronte a ricordare che la città è di chi la vive e la anima con i suoi conflitti.
PD-Lega: diversi nemici, stessa merda
Il PD avrebbe voluto garantire quell’agibilità “democratica alla Lega” non importa se al prezzo di una militarizzazione imponente, per il risultato di deviare l’opposizione sociale su dispositivi comunicativi della “sicurezza”, di cui la Lega è ufficiale titolare del brand ed il PD efficace attuatore. Filippeschi preferisce cento “striscia la notizia” che parlano del problema furti alla stazione, piuttosto che cento famiglie che occupano il Comune perchè a Bulgarella vengono regalati i nostri soldi e a loro invece vengono dati solo sfratti e povertà. Per questo la tensione del sabato è stata produttiva, nonostante il patetico tentativo di utilizzare il “lutto” dopo gli attentati di Parigi per silenziare le lotte sociali in città: respingere la Lega è l’esigenza di restituire alle giuste proporzioni un corpo estraneo al nostro territorio e di scartare un agente nemico delle lotte per l’emancipazione.
La giornata di Sabato si conclude con un nuovo inizio, dopo aver terminato la mobilitazione antilega in Piazza Garibaldi: le famiglie sotto sfratto e dei comitati di quartiere che il giorno precedente hanno occupato l’atrio del Comune si sono unite agli studenti conquistandosi la piazza di fronte a Palazzo Gambacorti. In un’atmosfera gremita da attenzione e partecipazione la lotta per la casa ha lanciato il suo monito: sfiduciamo Filippeschi, vogliamo le case di Bulgarella.
Spazio Antagonista Newroz, dicembre 2015