KURDISTAN, STORIA DI UN POPOLO IN LOTTA: IL PKK E LA REPRESSIONE

  • Aprile 9, 2010 9:10 am

Per Kurdistan si intende un territorio di circa 450.000kmq diviso tra Turchia, Iraq ,Siria ed Iran. La maggior parte del territorio kurdo è situato all’interno dei confini turchi per un’area di circa 230.000kmq (30% del territorio turco).

Il territorio è strategicamente rilevante per la ricchezza di petrolio e le risorse idriche (gli unici giacimenti di petrolio della Turchia ed i maggiori della Siria si trovano in territorio kurdo), ed è al centro di alcune importanti vie di comunicazione, come ad esempio quella tra le repubbliche centroasiatiche, l’Iran e la Turchia.

Il popolo curdo discende dagli antichi medi, una popolazione di origine indo-iraniana, che dall’Asia Centrale si diresse, intorno al 614 a.C., verso i monti dell’Iran. Essendo in una posizione geostrategica fondamentale è sempre stato preso di mira dalle potenze imperaliste, a cominciare dalla gestione dell’impero ottomano dell’area che impedì una unificazione dei kurdi.

Quando si affacciarono nel Kurdistan le potenze protoimperialiste europee, l’area fu strumentalizzata secondo gli interessi della Gran Bretagna, della Francia, della Germania e della Russia zarista pronte ad indebolire l’impero ottomano. Con la mutazione degli assetti alla fine della prima guerra mondiale si prospettò la possibiltà di uno stato kurdo autonomo: il trattato di Sévres, firmato nel 1920, prevedeva che nell’Anatolia orientale sarebbero stati creati un Kurdistan autonomo, oltre che uno Stato indipendente di Armenia. Questa volta fu l’ostracismo della nascente Repubblica turca, ad impedire la formazione di uno stato curdo autonomo.

Il trattato di Losanna, firmato nel 1923 da Gran Bretagna, Francia, Italia, Giappone, Grecia, Romania cancellò il trattato di Sèvres. Fu allora che i territori abitati dalla popolazione di etnia curda vennero spartiti tra Turchia, Siria, Iran ed Iraq.

Nel 1923 andò al potere in Turchia Mustafa Kemal, detto Atatürk, che affermò il principio dell’unitarietà e dell’indivisibilità dello stato turco laicizzato, rendendo una dicotomia inconciliabile l’esistenza di un’etnia curda nello stato turco.

Tra gli anni ’40 e ’50 ai kurdi venne riconosciuta una relativa autonomia, ma con il colpo di stato del 1960 la giunta golpista turca decise di esiliare e arrestare i kurdi e turchizzare tutti i nomi delle località kurde. La nuova Costituzione del ’61 riconobbe ai cittadini le "libertà fondamentali", ma continuò a considerare un valore assoluto e prioritario l’integrità dello stato e a sottrarre al popolo curdo la propria indipendenza.

Nella seconda metà degli anni ’60 il movimento nazionalista curdo si organizzò in partiti rivoluzionari, come il Partito Socialista del Kurdistan ed il Partito Democratico del Kurdistan, che si battevano per la democrazia in Turchia e l’auto-determinazione per il popolo Kurdo.

Nel 1971, con il secondo intervento militare, venne istituita la legge marziale: migliaia di persone vennero arrestate e detenute in condizioni orribili e sottoposti a torture e violenze. Negli anni ’80 continuarono gli arresti sistematici e le torture nei confronti della popolazione curda. Le forze di sicurezza hanno sempre goduto della totale impunità per i loro comportamenti nella regione curda, sottoposta allo stato di emergenza, dove sono gestite dal Consiglio di Sicurezza Nazionale, senza alcuna ingerenza parlamentare. Perquisizioni forzate, distruzione di villaggi, arresti, torture e pene capitali sono sempre stati il "modo turco di risolvere il problema". Dagli anni’ 80 si sono avuti periodi in cui la repressione si è attenuata ma la negazione dell’esistenza del popolo kurdo è stato il filo conduttore di tutti i governi turchi.

Il movimento curdo in Turchia si sviluppò in due direzioni: l’ala nazionalista, rappresentata dal Partito democratico del Kurdistan, chiedeva l’autonomia, mentre l’ala di ispirazione socialista rivendicava l’indipendenza.

Negli anni settanta nacque e si strutturò il PKK, il Partito dei Lavoratori Curdi, il cui scopo principale era il riconoscimento della lingua e dei diritti dei curdi. Il suo fondatore e leader era ed è Abdullah Öcalan, detto Apo, che in curdo significa zio. Il programma del partito fu delineato durante il congresso di fondazione dello stesso, il 27 novembre del 1978. Il suo progetto rivoluzionario prevedeva una prima fase di rivoluzione nazionale, ovvero la creazione di una repubblica marxista curda in territorio turco per arrivare poi all’unificazione dell’intero Kurdistan, ed una seconda fase, di rivoluzione democratica, che prevedeva l’instaurazione di una dittatura del proletariato per eliminare lo sfruttamento latifondista, la struttura sociale basata sui clan e la condizione di inferiorità della donna.

Da quel momento il PKK iniziò la sua lotta armata contro il potere centrale. Il governo turco non ha mai accettato di considerare il PKK come un movimento popolare, bollandolo di terrorismo e riuscendo a far valere i propri interessi anche in Europa, dove a partire dagli anni ’60 si è creata diaspora kurda molto politicizzata.

La vicenda di questo popolo ha assunto un carattere internazionale solo quando, nel 1998 il leader del Pkk Ocalan andò prima a Mosca ed in seguito a Roma. Abdullah Ocalan fu poi catturato, giunse in Kenia e lì fu rapito dal Mossad e consegnato alla Turchia il 15 febbraio 1999 e condannato a morte. Nelle proteste seguite alla sua cattura tre giovani kurdi furono uccisi dalla security israeliana davanti al consolato israeliano a Berlino.

Ocalan è da allora detenuto nel carcere di Imrali ed ha a più riprese effettuato proposte per una soluzione democratica della questione kurda, richieste e proposte da sempre ignorate dalla Turchia.

Il PKK, seguendo le indicazioni del suo fondatore, ha proclamato numerosi cessate il fuoco ed ha spostato il baricentro delle rivendicazioni, chiedendo una soluzione che rispetti la dignità del popolo curdo all’interno del territorio turco.

I Kurdi del nord e il loro partito non sono stati attraversati dalle contraddizioni che hanno vissuto i kurdi del sud, ovvero quelli che vivono in territorio iracheno e che sono stati pedina di scambio per il dilagare dell’attacco imperialista dell’area e alla cui guida si sono susseguiti leader opprtunisti che hanno firmato negli anni’90 accordi contro la guerriglia del PKK.
Ecco quanto ha afferma il generale turco Aytaç Yalman:

"In realtà la Turchia doveva capire il problema quando era ancora una questione a livello sociale. Se fosse riuscita a fare questo, forse la questione si sarebbe potuta risolvere. Cioè, in realtà, la questione kurda era solo legata alla libertà di cultura, di espressione. I kurdi volevano parlare la loro lingua, cantare le loro canzoni e ascoltarle liberamente, insomma vivere la loro cultura. E invece noi turchi avevamo avuto una formazione che diceva: i kurdi non esistono. E le attività sociali kurde per noi diventavano attività distruttive. Ciò ci porta a due considerazioni: noi turchi non abbiamo considerato la parte sociale, cioè non abbiamo analizzato la questione in tempo; seconda cosa: l’assimilazione non è riuscita. Secondo me gli Usa avevano deciso molto prima di intervenire in Iraq – continua il generale – e volevano appoggiarsi ai kurdi. Progettavano di farlo con Barzani e Talabani. Abdullah Ocalan era un leader alternativo a Barzani e Talabani. Secondo me gli Usa, per rafforzare Barzani e Talabani e dare loro maggiori spazi di manovra, hanno consegnato alla Turchia Ocalan. Per Barzani e Talabani gli Usa hanno tolto di mezzo l’alternativo Ocalan soddisfacendo allo stesso tempo la Turchia. Ma non hanno annientato totalmente il Pkk" (fonte uikionlus.com).

La guerriglia kurda gode di un sostegno popolare vastissimo come dimostra anche l’intervista che segue, fatta ad un militante kurdo coinvolto nell’operazione del 26 febbraio 2010 che ha portato nella sola provincia di Pisa a decine di arresti e perquisizioni per "associazione sovversiva"

Chi sei?

Sono un ragazzo curdo, rifugiato politico in Italia, sono dovuto scappare dalla Turchia e dal 2000 sono in Italia. I turchi hanno arrestato mio padre e l’hanno incarcerato perché lavorava nella logistica del PKK.

Ecco: cosa vuol dire PKK?

Il PKK è il partito dei lavoratori del Kurdistan, nato il 27 novembre 1978, il capo del partito è certamente Abdullah Ocalan che con i suoi sei compagni è stato eletto quando andava all’università.

Il PKK ha come principale scopo quello di liberare il popolo kurdo e determinare il Kurdistan come stato autonomo dai quattro paesi in cui il suo territorio è diviso (fondamentalmente Turchia, ma anche Siria, Iraq ed Iran). Sono quasi 32 anni che siamo in guerra contro i fascisti turchi. Noi rivendichiamo la nostra identità, la nostra terra e la nostra cultura. Il partito PKK non è un partito terroristico, siamo sulla lista nera del terrorismo internazionale perché sia gli americani sia gli europei coltivano grossi interessi con la Turchia.

In questi anni sono stati abbattuti 5000 villaggi kurdi, le persone sono state costrette a spostarsi e migliaia di giovani, ma spesso anche intere famiglie sono morte. La cosa più grave che ci troviamo ad affrontare è che nessuno conosce la storia e la situazione del popolo kurdo, questo permette che avvenimenti come quello successo in Italia la mattina del 26 febbraio 2010 rimangano nel silenzio. Tutti i coinvolti nell’operazione di febbraio sono kurdi immigrati che vivono da anni in questo paese, sono regolari e non hanno nessuna imputazione criminale. Vogliamo vivere in pace, vorremmo vivere in Kurdistan ma siamo stati costretti a scappare dalla nostra terra, vogliamo libertà per il nostro popolo e su questo non torneremo mai indietro.

La mattina del 26 febbraio in Valdera decine di poliziotti italiani e francesi hanno fatto irruzione nelle nostre case, uomini, donne e bambini sono stati perquisiti e 70 di noi sono stati arrestati. E’ stata un’operazione antiterrorismo ma noi non siamo terroristi!

Avevamo organizzato un convegno per 60 ragazzi, provenienti da diverse nazioni, per comprendere e studiare la nostra cultura e la nostra lingua, per stare insieme. Quando hanno fatto irruzione hanno trovato solo computer, cellulari e strumenti musicali, hanno portato via tutto. Non è vero che siamo in Italia per fare la guerra, se volessimo fare la guerra la faremmo sulle nostre montagne, contro il fascismo turco!

Il nostro obiettivo qui in Italia è far conoscere il nostro popolo e la nostra cultura, organizzare la comunità kurda così da poterci integrare al meglio in un paese che si è dimostrato in passato e, grazie ai compagni italiani, si dimostra solidale anche adesso. La Turchia ha inserito nella lista nera del terrorismo internazionale un intero popolo. In Turchia finisci in carcere se dici di essere kurdo, se parli la nostra lingua anche solo se ti dimostri vicino alla lotta del nostro popolo, siamo stati costretti ad abbandonare la nostra terra ma almeno credevamo "di esserci allontanati da queste assurdità".


Puoi raccontarci la tua esperienza della mattina degli arresti? Cosa è successo?

Il 26 febbraio 2010 verso le quattro di mattina ero a casa mia, stavo dormendo con la mia famiglia. Ho sentito un rumore alla porta, ho cercato di aprire e mi sono trovato una pistola puntata contro. Ho cominciato a sentire il rumore dell’elicottero. Mi hanno detto di portare fuori tutta la famiglia, anche i miei bimbi, io gli ho chiesto "ma cosa volete da me a quest’ora, perché siete a casa mia e volete entrare con la forza?" mi hanno detto: "te lo diciamo alla caserma, adesso non possiamo dirti niente", sono entrati in casa con i cani, poi hanno cercato ovunque, hanno preso libri, i calendari del mio partito ed il mio computer.

Quando sono arrivato in caserma ho visto che altri miei compagni erano lì, poi mi hanno preso i dati, le impronte, hanno fatto le foto e mi hanno detto che avrebbero mandato tutto a Venezia.

Qual é la tua sensazione, sapevi che stavano indagando su di voi?

No, mi hanno detto che dal 2008 sono sotto controllo, intercettazioni telefoniche ed ambientali. Mi hanno chiesto di dire dei nomi, mi hanno chiesto se conoscevo delle persone, ho risposto che conosco tutti i compagni del PKK. Hanno sequestrato tutta la roba che avevano portato via da casa mia, mi hanno detto che le avrebbero mandate ad analizzare e poi mi avrebbero fatto sapere.

Sono in Italia perché sono dovuto scappare dal mio paese, non perché avevo problemi economici, in Kurdistan stavo bene, avevo due case, lasciate da mio padre, avevo un po’ di terra, ho dovuto lasciare tutto e venire qui per salvare la mia vita e quella della mia famiglia. In Kurdistan sono stato in galera sei mesi perché sono un militante attivo del PKK, nel 1998 la situazione è diventata troppo pericolosa e siamo dovuti fuggire, sono venuto in Italia per vivere tranquillamente ed in pace, come vorrei vivere nel mio paese, non certo per farmi mettere in galera.

Io la sera ero davanti al commissariato ad aspettare i compagni che sarebbero usciti, speravamo tutti. Appena sono usciti gli abbiamo chiesto cosa era successo, cosa gli avevano detto, cosa gli avevano chiesto. È stato subito evidente come tutta l’operazione sia una gigantesca violazione dei diritti dei cittadini e dei rifugiati politici. A ragazzi di diciassette anni sonostate fatte domande del tipo: "ti piace uccidere i turchi, lo hai mai fatto?" loro ovviamente non volevano rispondere, un ragazzo ha risposto:" non capisco perché mi fai queste domande, io sono in Italia, credo che le persone siano tutte uguali e che nessuno debba morire", è stato deriso ed il suo interrogatorio si è protratto molto più a lungo.

A quali soprusi il popolo kurdo viene sottoposto in Turchia?

L’attuale Kurdistan equivale all’antica mesopotamia, tutti conosciamo quella terra coma la culla del mondo, questo perché è sempre stata molto ricca di risorse, petrolio ed acqua. Sulle nostre montagne sorgono il Tigri e l’Eufrate. Gli interessi dei turchi sono esattamente gli stessi che gli americani hanno in Iraq e proprio per questo noi continuiamo a difendere e a lottare per la causa del popolo kurdo. Abbiamo visto in Iraq ed in Afganistan cosa succede quando gli americani, gli inglesi, i francesi ed anche gli italiani invadono un paese per derubare la sua terra e distruggere il suo popolo, il Kurdistan è un territorio ricco e molti paesi hanno interessi da coltivare sulla nostra terra, non solo i turchi, ma forse non hanno ancora capito che non siamo disposti a cedere.

I militari uccidono i nostri bambini, distruggono le nostre case, ci imprigionano, ci torturano, ci costringono a scappare lontano con le nostre famiglie pensando così di riuscire a sconfiggerci, ma il nostro è un popolo che lotta nella sua unitarietà, non un piccolo gruppo di guerriglieri armati soli sulle montagne. La nostra è una lotta culturale per l’affermazione dell’esistenza e della legittimità del popolo kurdo.

Qual é il progetto politico del PKK?


Il PKK, il partito dei lavoratori Kurdi, ha come scopo principale la determinazione dell’autonomia del territorio del Kurdistan dai quattro stati riconosciuti in cui è diviso (Turchia, Siria, Iran ed Iraq). Il PKK vuole proteggere il territorio e la cultura del popolo Kurdo dal dominio degli stati dominatori. Il primo passo sarebbe il riconoscimento del popolo kurdo e della sua matrice culturale come minoranza etnica e poi l’autonomia del suo territorio. Esattamente come i palestinesi lottiamo per non essere schiacciati dall’opportunismo e dagli interessi politici degli stati capitalisti che ci invadono.

È vero che noi abbiamo dei guerriglieri sulle montagne del Kurdistan, quasi trecentomila, ma il nostro scopo non è certo quello di fare la guerra, abbiamo delle ragioni così forti, come la libertà e l’autodeterminazione del nostro popolo, da portare avanti ed un nemico, il governo turco, così tenace nel non riconoscercele che spesso non abbiamo alternativa.