La lotta operaia contro il modello Marchionne a Pisa

  • Febbraio 9, 2011 10:17 pm

Anche in Toscana pesanti sono le ricadute della crisi economica globale. L’indotto Piaggio, tra le maggiori articolazioni del capitale sul territorio toscano, attraversa in pieno il tentativo di ristrutturazione proposto dal modello Marchionne.

Riportiamo un articolo tratto da Pisanotizie che spiega l’attuale situazione dell’indotto. A seguire, a cura della redazione pisana di Infoaut, l’esempio della risposta degli operai della Pega che hanno deciso di non abbassare la testa, di metterci la faccia ottenendo così una prima vittoria.


Indotto Piaggio: è lontana l’uscita dalla crisi

La lunga e difficile fase in cui si trovano le aziende dell’indotto Piaggio sembra destinata a durare ancora. Se infatti nei giorni scorsi l’ad di Piaggio Colaninno dichiarava di essere sereno per le prospettive di quest’anno (“con la scelta di puntare sui mercati asiatici il gruppo può affrontare nel 2011 la crisi internazionale con tranquillità”), è certo che per l’indotto la situazione è meno rosea.

Per la componentistica in particolare, le scelte di Piaggio di acquistare, per lo più in Cina, prodotti che vengono realizzati anche dalle aziende pontederesi, sta determinando crisi per molte realtà che senza la commessa principale rischiano di essere sommerse.

Tra queste realtà spicca certamente la Mitsuba. “Dopo due anni di contratti di solidarietà – afferma il segretario provinciale della Fiom Marcello Franchi – l’azienda sostiene che continua a permanere la stessa difficoltà, con riduzioni della produzione del 50%. Non si prevede una ripresa, anzi, il suo cliente principale, Piaggio, sembra voglia acquistare dalla Cina”.

“La Mitsuba giapponese – prosegue – non è disponibile a ricapitalizzare in Italia e afferma di non poter che andare a una riduzione dei ‘costi’, che significherebbe riduzione dell’organico. Ha infatti comunicato l’avvio delle procedure di mobilità per 45 persone rispetto alle 82”.

La risposta della Fiom non si è fatta attendere: “C’è la possibilità di utilizzare altri ammortizzatori sociali, a partire dallo stesso contratto di solidarietà con le sue 24 ore settimanali invece di 40. Non intendiamo far uscire i lavoratori dall’azienda”. All’incontro fra sindacati e azienda, tenutosi lo scorso 31 gennaio, è stata annunciata la procedura, formalizzata la sera stessa con l’invio della lettera: “Abbiamo chiesto un secondo incontro ufficiale – continua Franchi – da cui purtroppo non ci aspettiamo granché. Ci sono 75 giorni di tempo per fare o non fare l’accordo”. L’intenzione del sindacato è di coinvolgere le istituzioni che “già 5 anni fa siglarono l’accordo, determinando una riduzione del 50% del personale. Quell’accordo è scaduto a fine 2010, e chiediamo alle istituzioni di intervenire nuovamente”.

Acquisti dalla Cina da parte della Piaggio e crisi produttiva anche per la Tmm, storica azienda che produce marmitte per le due ruote di 50, 125 e 250 cc, che ha presentato la procedura di mobilità per 51 lavoratori su 107. “La prossima settimana ci sarà l’incontro di avvio della procedura – ci spiega Fabio Carmignani, della segreteria Fiom – chiederemo all’azienda la possibilità di andare a strumenti alternativi. Già nel primo incontro di martedì (1 febbraio, ndr), l’azienda ha comunicato ufficialmente la procedura, ma non ha escluso il ricorso agli ammortizzatori sociali”.

“L’azienda da diversi anni presenta problemi di esubero – afferma ancora Carmignani – fino a oggi affrontati con ammortizzatori sociali e riorganizzazione del lavoro, ma licenziamenti in tronco mai. Oggi però si sono perse quote di mercato e la situazione preoccupa”. Il prossimo martedì ci sarà un ulteriore incontro, ma i segnali non sono positivi.

Diversa infine, la situazione alla Metalplastic, dove la Filctem-Cgil smentisce categoricamente l’annuncio di 60 licenziamenti. “A settembre dello scorso anno – afferma il segretario provinciale Stefano Del Punta – l’azienda aveva annunciato 60 esuberi in due anni, motivati con una perdita di un milione e mezzo di euro sul fatturato e alcune criticità rispetto a inefficienze e produttività. Ma dopo scioperi, sit-in e incontri, a novembre eravamo giunti a un accordo con la sospensione dei licenziamenti, un anno di cassa integrazione straordinaria, l’avvio delle procedura di mobilità su base volontaria. I lavoratori dal canto loro hanno concesso una riduzione di 15 minuti sulla pausa, scelta ratificata con l’80% dei sì”.

Quindi, prosegue Del Punta, “non si parlava di licenziamenti e mobilità. Certo, non siamo tranquilli perché vediamo movimenti in azienda: pensiamo che l’azienda voglia dare in appalto o in gestione una parte del reparto di verniciatura e stampaggio, ma i licenziamenti non ci sono”.
“L’11 è in programma un incontro all’Unione Industriale – afferma ancora – in quella sede chiederemo chiarezza. Le voci che circolano su gestioni da parte di soggetti abruzzesi e modenesi, per i due reparti verniciatura e stampaggio, riteniamo debbano essere chiarite: se così fosse chiediamo che il cambio resti in provincia, e non in Emilia o in Abruzzo, dove tra l’altro le due aziende su cui circolano le voci non hanno notoriamente buoni rapporti sindacali”.

“La cosa certa a oggi – conclude Del Punta – è l’accordo fatto”.

La lotta operaia contro il modello Marchionne a Pisa

altLa Pega è uno dei numerosi pezzi in cui ormai è suddiviso l’indotto Piaggio: una cooperativa che negli ultimi anni ha avuto in subappalto i servizi di imballaggio e confezionamento di tre magazzini della Ceva Logistic Italia, azienda che ha avuto in appalto il servizio subentrando alla TNT AL. In questi anni la cooperativa Pega non si è fatta nessuno scrupolo rispetto alle condizioni dei lavoratori: frequente ricorso alla cassa integrazione o alla riduzione delle ore di lavoro; mensa inutilizzabile; condizioni di lavoro sempre più rischiose e ritmi alternati alla produzione; per concludere in bellezza da dicembre gli operai percepivano buste paghe incomplete.

In questa situazione già tesa,la notizia che allo scadere dell’appalto a fine gennaio in fabbrica sarebbe subentrata un’azienda lombarda, senza nessuna garanzia di assunzione per tutti i 108 operai e con un drastico ridimensionamento dei termini contrattuali, ha scatenato la rabbia dei lavoratori e delle lavoratrici, che nella giornata di martedì 25 gennaio sono scesi in sciopero.

La battaglia degli operai è andata avanti per tre giorni: mercoledì 26 gennaio inizia la mobilitazione, segnata dallo slogan “NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO”, il centinaio di lavoratori inizia lo sciopero ad oltranza. Viene deciso di spostarsi dallo stabilimento di Porta a mare verso quello di Lugnano della ditta appaltante Ceva. Anche gli operai di quest’ultima decidono di scioperare immediatamente in solidarietà; la produzione viene bloccata e prende vita un corteo interno alla fabbrica, che grida rabbia e dignità contro i capi reparto rimasti a “sorvegliare” i pochi crumiri a lavoro.

Non è bastato l’invio della Ceva ai lavoratori di una parte del salario spettante per mettere fine alla protesta;
senza alcuna certezza sul futuro occupazionale, in balia di decisioni arbitrarie settimana dopo settimana, gli operai hanno continuato la loro lotta. La richiesta la riassunzione di tutti, senza le deroghe al contratto che la nuova azienda voleva imporre (come i primi tre giorni di malattia non pagati) e l’immediato pagamento delle ore di lavoro e del TFR.

Per tutta la giornata di giovedì 27, quindi, alla vigilia dello sciopero del 28 gennaio, la quasi totalità dei lavoratori si è organizzata nel portare avanti picchetti e bloccare i cancelli per impedire il transito dei camion e delle merci. Durante la mattinata si sono presentati ai cancelli bloccati dagli operai Pega alcuni operai RSU COBAS e CGIL della Ceva ed i segretari di categoria delle organizzazioni sindacali di cgil, cisl e uil.

La determinazione dei lavoratori e delle lavoratrici della Ceva, sostenuti dagli RSU e da operai Ceva, è stato l’ingrediente fondamentale per la decisione di continuare il blocco della produzione ed il picchettaggio dei cancelli, nonostante i tentativi di concertazione al ribasso sostenuti dalle dirigenze dei sindacati confederali, messi sotto pressione dall’azienda stessa, che era stretta in quel momento tra il rifiuto operaio del lavoro senza alcuna condizione e dall’altro dalla pressione della Piaggio, le cui commesse di fine mese rischiavano di saltare!
Si è aperta quindi la trattativa, durata ore di forte tensione,che è stata forzata dal presidio ininterrotto dei capannoni, continuato nonostante il freddo e la stanchezza fino a tarda serata.

Alla fine è stata ottenuta la riassunzione di tutti i lavoratori e le lavoratrici a tempo indeterminato da parte della nuova azienda subentrata, la World Service, ennesima scatola cinese di un gruppo lombardo, il Gruppo Viesse international Holding. Il contratto che le OO.SS hanno firmato prevede un “part time” di 30 ore a fronte di 40 ore effettive lavorate: le ore “eccedenti” saranno computate in una “banca ore”. Un risultato di parziale vittoria, da cui i lavoratori hanno intenzione di costruire un’opposizione sempre più efficace e massificata con gli altri segmenti operai coinvolti dalla precarizzazione del modello Marchionne dell’indotto Piaggio. Infatti il contratto firmato prevede una revisione dell’organizzazione produttiva e delle clausole contrattuale tra tre mesi: sarà quindi un banco di prova dei rapporti di forza che l’azienda vorrà ristrutturare a proprio vantaggio.

Nella Toscana felix, dove la concertazione portata avanti dai sindacati confederali è un pezzo organico della governance del territorio, il “modello Marchionne” è stato anticipato da tempo nell’applicazione del modello cooperativistico, un vero e proprio laboratorio di iper precarietà e sfruttamento, dove il lavoratore è una variabile dipendente: il suo monte ore e il suo salario sono assolutamente espandibili e comprimibili a piacimento, il comando e la disciplina come normalità della relazione tra capireparti, quadri e cmposizione operaia. Il modello del lavoro cooperativistico mira all’assunzione dell’interesse operaio come interesse della cooperativa e ricalca i tentativi di Marchionne negli stabilimenti di pacificare lo scontro tra Padrone ed operaio, sacrificando i bisogni di quest’ultimo sull’altare della competitività internazionale tra “produttori”.

Oggi che la crisi morde sempre di più, questi assetti sono sempre più attraversati da tensioni: i lavoratori Ceva dimostrano l’impossibilità di una relazione sociale mediata dalla concertazione e quanto, oggi più che mai, sia solo il conflitto e la lotta collettiva ad incidere realmente per i bisogni di parte operaia e per la riappropriazione dei tempi di vita e lavoro, sempre più in conflitto con la precarietà imposta dalle aziende.