Le cazzate del Tirreno sugli studenti. L’inutile strategia della paura
Se il partito chiama il Tirreno risponde. E’ una regola forgiata in anni di ottima simbiosi tra il blocco di potere egemone nella città di Pisa e quello che dovrebbe essere un quotidiano, ma che a seconda delle esigenze si tramuta in un ottimo strumento di disinformazione e propaganda. E se in qualche periodo il Tirreno sembra adottare una linea più aperta alle critiche nei confronti dell’amministrazione e più disponibile nei confronti dei movimenti, questo in realtà fa solo parte del gioco dei ruoli.
La realtà è che ogni qualvolta il Partito Democratico identifica un nemico, la campagna di criminalizzazione parte sempre da menzogne costruite ad arte dalla redazione del giornale.
E sicuramente l’orgoglio e l’arroganza di questi figuri è stata finalmente risvegliata dalle fiamme che hanno avvolto la loro bandiera proprio di fronte all’edificio dal quale esercitano il loro potere. Se fino a quel momento il sindaco era riuscito a non esprimersi riguardo a qualsiasi rivendicazione sociale attraversasse la città, continuando a far finta di niente e ad inaugurare strade e marciapiedi in vista della rielezione, quel gesto l’ha messo nell’impossibilità di sottrarsi, di fronte ad un intero movimento studentesco che lo indicava come una controparte.
Il 6 dicembre, e soprattutto i giorni seguenti, il partito ha quindi scatenato il suo Istituto Luce per tratteggiare una situazione surreale e provare a delegittimare le rivendicazioni sociali degli studenti. Il frame usato dal Tirreno è quello che scientificamente riemerge in ogni articolo ed ogni intervista: da una parte si tende la mano agli studenti invitandoli a salvare la loro legittima protesta riportandola nei binari della legalità, dall’altra si tratteggiano enigmatiche figure, burattinai senza scrupoli, “cattivi maestri”, che da dietro le quinte strumentalizzano le proteste per alimentare il clima di scontro in città non si capisce bene per quale diabolico fine. Su questo fronte niente di nuovo quindi .
E invece di nuovo ci sono alcuni fattori: la crescita di un nuovo senso comune prodotto dalle reazioni sociali dalla crisi, e il contesto mediale in cui questi attori si muovono ora: la sempre crescente influenza della rete e dei social network. Nell’era della comunicazione istantanea si può osservare un divario enorme tra la cronaca “a caldo” su internet, fatta dai cronisti durante i cortei e più attinente alla realtà e la rielaborazione del giorno seguente dopo la censura e la mistificazione dei dirigenti del giornale, fatta ad hoc per tenere vivo il sentore di insicurezza nei confronti dei folk devils, dei teppisti, degli antagonisti.
Per quanto riguarda il 6 dicembre gli stratagemmi usati sono: fotografie di altre manifestazioni per travisare il clima della giornata; censura di comunicati e punti di vista interni ai soggetti di movimento; comunicati di dissociazione scritti da soggetti politici inesistenti che vengono eletti dalla stampa come portavoce dell’intero movimento studentesco (rubando la scena alle notizie di una decina di scuole che hanno rilanciato l’agitazione, forti dei risultati del 6); il parere degli esperti, nello specifico presidi e questore, che alternando toni paternalistici a minacce sovradimensionate (“questi ragazzi rischiano di rovinarsi la vita!”) hanno lo scopo di far leva sull’atavico istinto di protezione che ogni genitore ha nei confronti del figlio.
Un altro importante cambiamento è da registrare nel netto tracollo del consenso verso queste pratiche diffamatorie. La realtà della crisi e l’aumento dei comunicatori grazie ai social network ha fatto crescere esponenzialmente l’approvazione di gran parte della popolazione nei confronti delle forme anche più radicali delle proteste.
Prendiamo in esame il periodo 5 ottobre – 6 dicembre, ovvero il primo e l’ultimo corteo studentesco. Qui è interessante notare le infantili tattiche che Il Tirreno mette in campo.
L’unico stile che caratterizza la testata del “gruppo l’Espresso” è quello di una narrazione che ricalca lo stesso punto di vista della questura, del PD, del Provveditore, del Sindaco. Un punto di vista esterno alla realtà della stragrande maggioranza della popolazione, immerso in una favola in cui i conflitti sociali non solo non devono esistere, ma proprio non sono ammessi. Ogni commento è schiacciato sulla legalità, una cornice intatta e non scalfita dall’evidenza dell’insopportabilità di regole del gioco costruite appositamente per continuare ad escludere i più. I giovani che si ribellano sono “alieni”, le realtà sociali e politiche di movimento “apprendisti stregoni”. Perciò quando la realtà irrompe in questo teatrino, i protagonisti devono essere rappresentati maldestramente con lo stesso atteggiamento con cui si descrive qualcosa che non si conosce, e che non si vuole conoscere, perchè fa paura. Perchè riconoscerlo significherebbe sapergli dare delle risposte. E si sa che in tempi di austerity non esistono altre soluzioni, oltre la bieca e becera propaganda, la criminalizzazione, la rimozione delle cause dei fenomeni sociali, e quindi la conseguente oppressione.
A conferma che gli alieni sono loro, e di sicuro non gli studenti, è la scelta tecnico-editoriale di non pubblicare sulle edizioni on line gli articoli che invece trovano ampio spazio sul cartaceo. Una doppia necessità spinge questa decisione tutta politica: nelle edizioni on line, così come sui profili Facebook del Tirreno, è possibile un contatto con la realtà, seppur parziale, di una comunità non più completamente governata, quella del lettore medio del Tirreno. Egli interpreta, condiziona e misura il grado di consenso al potere dominante. Da notare che dopo il corteo del 24 novembre erano stati decine i commenti a favore dei manifestanti che avevano bruciato la bandiera del PD, occupato l’atrio del comune ed invaso l’Aurelia. Così come sono stati decine quelli che hanno risposto il 6 dicembre stesso sulla bacheca di Filippeschi schierandosi apertamente dalla parte degli studenti. Il piano reale fa paura quando si avvicina, ecco quindi che il Tirreno decide di cancellare ogni presenza on line della sua truce e grottesca interpretazione dei fenomeni sociali: centinaia e centinaia di ragazzini imbambolati da “apprendisti stregoni”, educati da “cattivi maestri” che si lasciano guidare verso irrazionali comportamenti di odio.
L’altra considerazione da fare è sulla difficoltà di assunzione anche solo a specifici segmenti sociali, di questo frame basato sulla teoria del complotto. La “regia occulta” che starebbe dietro a manovrare le manifestazioni non è nient’altro, come ormai sanno anche i muri, che il chiaro ed esplicito progetto sociale e politico dei movimenti sociali che da decenni lo portano avanti alla luce del sole a suon di centinaia di iniziative pubbliche.
Il tentativo di ridurlo a fenomeno eversivo non è nuovo in questa città: dal 2002 ad oggi periodicamente soggetti appartenenti al medesimo partito e al medesimo gruppo di potere, rispolverano dal cilindro interviste camuffate, notizie inventate senza nessuna giustificazione delle fonti, campagna mediatica martellante contro realtà politiche e sociali che si trovano protagoniste di conflitti sociali. Fu così dopo Genova 2001, con i tentativi di “perseguitare” compagni del sindacalismo di base; fu così nella infame gestione della questura comandata dal questore Introcaso e gestita dal capo della Digos Greco, dove le occupazioni di spazi sociali o scuole venivano narrate come “brodo di cultura del terrorismo” e successivamente sgomberate pistole in pugno. Fu così nell’emergere delle prime spinte del precariato sociale giovanile, nella primavera 2009. Fu così nelle lotte per la casa di Via Marsala, dove famiglie in resistenza da sgomberi e sfratti portati avanti congiuntamente da palazzinari ed istituzioni venivano accusate di aver perso il cervello seguendo gruppi antagonisti. Fu così nell’autunno 2010, pochi giorni prima dell’esplosione del movimento No Gelmini, dove Cgil e Tirreno – dopo che la polizia manganellò studentesse dell’Alberghiero – decisero di condannare gruppuscoli violenti che volevano instillare paura e terrore negli scioperi generali.
Ed è così anche oggi. E’ vero, esiste un clima di odio e tensione sociale, ed è quello scaricato verso il basso della società, a suon di corruzione, tagli, licenziamenti e precarietà. Le risposte di lotta che stanno nascendo, ancora troppo timide, hanno il merito però di tematizzare nella giusta maniera i problemi: non c’è più niente da chiedere, ma tutto da conquistare.
Una impostazione che è chiara ai più: se è vero che anche solo pochi anni fa di fronte a proteste più o meno radicali il lettore medio del Tirreno avrebbe per lo meno tentennato sullo schierarsi, oggi egli riconosce in quei soggetti che si ribellano i propri figli. Riconosce che l’unico problema di ordine pubblico, di tensione, di rabbia e di odio è quello che vede una classe politica complice e colpevole di “non far niente” per frenare una devastazione sociale in cui a pagare è il 99% della popolazione, ed a guadagnarci i soliti privilegiati. L’emulazione di questi comportamenti d’insubordinazione, la loro possibile riproduzione estesa e massificata, rappresentano il problema da scongiurare.
Di fronte a una tendenza di medio periodo in cui il prodursi di conflitti e della rabbia raggiungerà nuove vette, facendo definitivamente saltare quei tappi utili alla conservazione delle ingiustizie esistenti, siamo proprio curiosi su quale sarà la linea editoriale del Tirreno per narrare questi fenomeni. Alieni? Barbari? Incivili? Black Block travestiti da pensionati oppure da infermieri oppure da professori oppure da impiegati pubblici?
Appare quindi immediato e comprensibile che le cazzate scritte in questi giorni, non trovando alcun appiglio nella realtà, servano esclusivamente ad indicare input di comando, a formare ipotesi repressive che vengono sperimentate sulle lotte in formazione e che tentano di contrastare un nuovo protagonismo sociale in città. Lo vediamo nelle centinaia di minacce d’arresto fatte dal carabiniere di periferia e provincia fino alla Digos nei confronti di quindicenni e sedicenni intenzionati a non disoccupare la scuola. Lo vediamo nell’isterica reazione di presidi che imprimono l’acceleratore nella prassi intimidatoria che caratterizza qualsiasi ruolo dirigenziale impegnato a mantenere l’ordine in una situazione di crescente tagli e impoverimento. Lo vediamo dalle rappresentazioni mediatiche che vengono date ad artificiali situazioni di dissociazione portate avanti da gruppi di studenti assenti in qualsiasi livello di mobilitazione. Tristi eventi che precedono articoli in cui vengono annunciati “rastrellamenti” e la caccia allo studente che ha spinto il cancello del provveditorato. Abbandonata la ricerca del consenso, il Tirreno si dedica a riportare le veline di Questura, partiti, istituzioni, chiarendo quale sia l’informazione di regime: mettere paura ed instillare a suon di minacce e ricatti nei soggetti sociali nuovi e pesanti dispositivi di assoggettamento: “se protesti, se ti fai sentire, se esci dagli schemi di una compatibilità fattasi sempre più rassegnazione, sarai nei guai”.
Le lotte studentesche dalle scuole occupate e dei cortei ci parlano di questa nuova posta in palio: il conquistarsi di nuove frontiere dell’agibilità politica in città per i movimenti, ovvero la possibilità di incidere effettivamente nella realtà e di portare a casa risultati che vadano oltre le comode enunciazioni d’intenti ed i proclami di cambiamento al riparo da un qualsiasi mettersi in gioco.
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